Triplo Stelvio

Da quando esiste Cyclist non c’è mai stata una sfida paragonabile: salire il Passo dello Stelvio non una, non due, ma tre volte, in un’unica pedalata.

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Partenza da Bormio sotto un velo di buio alle 4 del mattino. (Foto Gavin Kaps/Osprey Imagery)

Vengo svegliato dal suono stridente della mia sveglia, impostata di proposito su un tono forsennato per assicurarmi di svegliarmi prontamente alle 3:45 del mattino. Un’irrefrenabile voglia di girarmi e di tirarmi il piumone in testa mi pervade. Ancora assonnato, gli occhi mi bruciano, anche se non tanto quanto mi bruceranno le gambe una volta terminata la giornata. “Forza, c’è una montagna da scalare”. La vocina che mi sussurra nella testa ha ragione, c’è una montagna da scalare, solo che non è una montagna qualsiasi. È il leggendario Passo dello Stelvio.

Non c’è nessuna distensione, nessuna possibilità di far girare le gambe pesanti. Si sale bruscamente fin dalla prima pedalata.

Già di per sé è un’impresa seria, ma per il Big Ride di oggi si rivelerà una belva tre volte superiore. Faccio fatica a ricordare perché, vista l’ora, ma ho deciso di scalarlo tre volte in un’unica pedalata. Anche per i miei standard, che probabilmente sono un po’ diversi da quelli del ciclista di tutti i giorni e che sono stati sicuramente deformati da ogni sorta di ridicola sfida ciclistica, percorrere tutti e tre i lati di questo colosso in un giorno è al limite del ridicolo. Quindi è un bene che mi sia allenato ieri. Solo 12 ore fa stavo tagliando il traguardo della Gran Fondo Stelvio Santini. Bisogna fare chilometri. Mi faccio strada con una ciotola di porridge freddo che ho preparato la sera prima, indosso il casco e allaccio le scarpe in previsione di ciò che mi aspetta.

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La vetta è quasi in vista mentre il ciclista affronta gli ultimi tornanti della prima salita da Bormio. (Foto Gavin Kaps/Osprey Imagery)

Alzati, esci

Inondate di luce artificiale, le strade di Bormio sono sorprendentemente vuote quando mi avvio, una figura solitaria che scompare lentamente nella notte. Non c’è nessuna facilitazione nella pedalata, nessuna opportunità di spuntare qualche chilometro veloce o di far girare le gambe pesanti. La salita è brusca fin dalla prima pedalata. Mi sforzo di superare la prima ora, concentrandomi unicamente sullo slancio in avanti mentre il mio corpo e la mia mente prendono gradualmente vita, grato per il velo di oscurità che nasconde l’enormità del paesaggio che sto per affrontare.

La strada sale ripidamente e, anche se non la vedo, so che mi sto dirigendo verso l’iconica scaletta di tornanti dello Stelvio.

Di solito trovo più facile arrampicare quando non riesco a vedere oltre la pozza di luce proiettata davanti alla mia bicicletta - ciò che l’occhio non vede non può tormentare la mente - ma in questa occasione la sensazione è diversa, la luce risucchia l’oscurità come se il mondo stesse sprofondando intorno a me, una sensazione intensificata dalle lastre di roccia fredda che si nascondono tutt’intorno. Raggiungo una serie di cunicoli che attraversano la montagna, l’aria è fresca rispetto al calore quasi repressivo che si respira all’esterno. La mia presenza fa scattare i sensori, attivando grandi strisce di luci potenti che fanno danzare ombre inquietanti lungo le pareti.

Di nuovo nell’oscurità, la strada sale ripidamente e, anche se non la vedo, so che mi sto dirigendo verso l’iconica scaletta di tornanti che porta su e fuori dalla Valle del Braulio. È qui, mentre salgo metodicamente, che le prime dita di luce si allungano da dietro le montagne frastagliate che svettano sopra di me. A poco a poco l’orizzonte viene inondato da una pozza di luce argentea, le mie orecchie si riempiono dello scroscio dell’acqua che scende dalla cascata del Braulio, ormai fuori dal campo visivo, e con ciò un nuovo ottimismo per la giornata mi investe.

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(Foto Gavin Kaps/Osprey Imagery)

Verso Prato allo Stelvio

I 5 km successivi non sono i più duri, in confronto, ma con lunghi tratti di salita attraverso i prati alpini che si estendono sull’altopiano si trascinano, stringendo lentamente la presa sulle mie gambe mentre cerco un ritmo costante. In lontananza vedo la sagoma degli edifici che si trovano in cima al passo, a ricordarmi che la strada da percorrere è ancora lunga. La temperatura scende mentre mi avvicino a una serie di tornanti che attraversano un paesaggio roccioso ed esposto. Continuo a girare i pedali, cercando di non pensare alla prossima curva.

Raggiungo finalmente la vetta dello Stelvio proprio mentre il cielo si accende di un caleidoscopio di colori che mi costringe a fermarmi e a stupirmi. La stanchezza si scioglie, sostituita da un profondo senso di gratitudine. Ognuno di noi va in bici per motivi diversi e, nonostante il mio amore per la sfida fisica delle montagne, è questa connessione più profonda con il mondo naturale che alimenta il mio desiderio di pedalare attraverso il buio. Ma devo essere pratico. Questa è solo una salita su tre, e più rimango fermo più sarà difficile ripartire. Mi aggancio e mi lancio nella discesa verso Prato allo Stelvio.

La mia mente non riesce a togliersi dalla testa il pensiero che ogni metro verticale che sto perdendo lo dovrò recuperare nella seconda salita.

La strada che scende è bella e scorrevole, ma la mia mente non riesce a liberarsi dal pensiero che ogni metro verticale che sto perdendo lo dovrò recuperare nella seconda salita. Il mio corpo, invece, non riesce a liberarsi dal freddo. Nonostante abbia indossato diversi strati, sto tremando come una foglia in una burrasca e faccio fatica persino a pedalare in linea retta. Desidero ardentemente scendere a valle, oppure mi accontenterei di risalire, almeno in questo modo genererei un po’ di calore.

Arrivato a Prato allo Stelvio, ho un disperato bisogno di zuccheri e caffeina, così trovo un bar e mi abbuffo di caffè, cioccolata calda e pasticcini. Sono fortemente tentato di indugiare, di assaporare la mia colazione al sole del mattino e di dimenticare la prossima salita, che so benissimo essere la più difficile delle tre. Mi ci vuole tutta la mia determinazione mentale per sedare questa tentazione e, dopo aver terminato l’ultimo dei miei tre deliziosi pasticcini, per rimettermi in sella e ricominciare a pedalare.

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(Foto Gavin Kaps/Osprey Imagery)

Bellezza impossibile

Ci vuole qualche chilometro prima che le mie gambe si riscaldino di nuovo, ma per fortuna la strada non è troppo ripida e serpeggia lungo i tratti più bassi della valle, con le acque del Rio Solda che rimbombano accanto a me. Davanti a noi ci sono più di 1.800 metri di salita e alcuni dei tornanti più iconici al mondo, 48 in totale, su un nastro di strada che ha fatto la storia del ciclismo. Costruito negli anni Settanta del XIX secolo e che ha richiesto cinque anni di lavoro a 2.500 uomini, questo tratto dello Stelvio è un’impresa ingegneristica senza pari che è valsa al suo ingegnere capo, Carlo Donegani, il titolo di “progettista dell’impossibile”.

Quando raggiungo il piccolo borgo di Trafoi, si apre davanti a me un vasto panorama, un sipario sulle cime innevate che avevo ammirato all’inizio della giornata. Da qui sembrano insormontabili e la mia mente inizia a mettere in dubbio la plausibilità di ciò che sto chiedendo al mio corpo. Non sono nuovo a questi pensieri e quindi so che c’è solo una cosa da fare: continuare a pedalare, un piccolo passo alla volta, contrattando con la voce dell’inquietudine, promettendole tutto ciò che desidera tranne che fermarsi. Che in questo momento è ogni sorta di cibo delizioso.

Raggiungo finalmente la vetta dello Stelvio mentre il cielo si accende di un caleidoscopio di colori che mi costringe a fermarmi.

Angolo dopo angolo, sempre più ripido, mi addentro nella fascia di foresta che ricopre il centro della montagna. Nonostante sia passato solo poche ore prima, avevo dimenticato quanto fossero ripidi alcuni di questi tratti, e le mie gambe si affaticano contro la pendenza della strada che sale ripetutamente da ogni angolo, ringraziando l’ombrello di rami che impedisce al sole di aumentare le mie sofferenze. Quando gli alberi iniziano a diradarsi, mi si presenta davanti uno dei panorami più intimidatori del ciclismo, capace di abbattere gli animi o, come è accaduto durante tutto il Giro d’Italia, di ispirare la grandezza. Guardando la parete verticale di roccia a cui l’ultimo tratto di strada si attacca come un pezzo di linguine contorte, è facile capire perché a Donegani sia stato dato questo titolo.

Mi chiedo quanti ciclisti, come me in questo momento, abbiano allungato il collo per guardare la cima e si siano chiesti come faranno ad arrivare in cima. Da qui ci sono ancora 600 metri di salita verticale e 23 tornanti quasi impossibili da percorrere. Mi viene in mente il consiglio che mi è stato dato quando ho scalato il Monte Kilimanjaro: pole, pole, che tradotto dallo swahili significa semplicemente “piano, piano”. Con questa parola in testa, mi concentro sulla prossima curva, contando le pedalate nel tentativo di dimenticare tutto il resto. In prossimità della cima, le curve dello Stelvio si fanno più strette e la strada più affascinante, e mi ritrovo a spingere di più sui pedali, spronato dai fantasmi del passato, dai pensieri dei grandi che hanno percorso questo terreno consacrato che mi portano in alto.

All’ultima curva, per la prima volta, mi concedo di guardare a valle. Perso nel momento, scatto verso la vetta, dimenticando che questo non è l’arrivo, almeno non ancora. Passando attraverso il guazzabuglio di bancarelle e negozi che costeggiano la strada in cima, le mie narici si riempiono del seducente odore di hot dog e cipolle fritte. Quella vocina mi ricorda la promessa fatta in precedenza, ma non mi fermo. Sono solo due su tre. Il cibo deve aspettare.

Ancora una volta la discesa si rivela la parte più difficile, il tempo sufficiente perché i miei pensieri diventino sempre più apatici, mentre mi tuffo di nuovo giù per la montagna su una strada immacolata. Il passaggio di una bandiera svizzera sventolata dal vento mi risolleva l’umore e mi ricorda la barzelletta preferita di mio figlio* e rido di gusto, ricordandomi che esiste un mondo al di là di questa montagna. È la liberazione mentale di cui ho bisogno prima di riaccendere la macchina, pronto per la terza e ultima salita.

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Una serie di tornanti sui pendii inferiori della terza salita da Santa Maria. (Foto Gavin Kaps/Osprey Imagery)

L’ultimo sussulto

Fortunatamente, la strada che parte dal piccolo villaggio svizzero di Santa Maria è la più facile delle tre, misurando “solo” 16,5 km e con “solo” 1.373 m di salita rispetto ai 2.758 m dello Stelvio. Non che nulla sia facile quando si superano i 3.000 metri di dislivello totale su due salite hors catergorie. Ma almeno dal punto di vista mentale è più gestibile.

Ormai sono quasi insensibile al costante dolore alle gambe e lascio che la mia mente si goda la serena bellezza di ciò che mi circonda, sapendo che, a tempo debito, raggiungerò di nuovo la vetta. Questo versante della montagna ha un’atmosfera decisamente diversa, un ambiente alpino più tradizionale, con pascoli ondulati che conducono a foreste di pini, un fiume che scorre mentre le mucche passeggiano, con i loro campanelli che tintinnano e le code che scacciano le mosche.

Mi chiedo quanti ciclisti, come me, abbiano allungato il collo per guardare la vetta e si siano chiesti come avrebbero fatto a raggiungerla.

Poi un flusso di motociclette passa rombando, il suono gutturale dei loro motori riverbera nella valle mentre scompaiono tra le pieghe della montagna. È difficile non invidiare la disinvoltura con cui si muovono, mentre io sbalzo in avanti dalla sella, facendo appello a ogni fibra muscolare per combattere la crescente ripidità della strada, che si taglia su se stessa per l’ennesima volta. Quando appare un cartello sobrio che segnala la cima del Passo dell’Umbrail (il Giogo di Santa Maria), il punto in cui questa strada si ricongiunge alla salita dello Stelvio da Bormio, sono passate circa 11 ore.

Sono incredibilmente vicino, ma a differenza di quando sono partito al buio questa mattina, non sono più solo. Diversi ciclisti mi sorpassano negli ultimi chilometri, e la voglia di dire loro che questa è la mia terza salita della giornata diminuisce ogni volta che mi allontano. Continuo a pedalare al mio ritmo, sapendo che non l’ho fatto per fare colpo, ma per l’amore di andare in bicicletta; per la libertà, per la graduale ascesa dalla vita di tutti i giorni verso un luogo in cui la felicità si trova in cima a una montagna. E non una montagna qualsiasi.

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Una volta non basta

Per scaricare questo percorso andate su komoot.it/tour/901849057 o scansionate il codice QR. Se volete affrontare questa sfida da soli, vi consigliamo di partire da Bormio. Da qui si imbocca la SS38 e la si percorre fino alla cima della salita, punto culminante del Passo dello Stelvio, per poi proseguire sulla stessa strada fino a Prad am Stilfser Joch (Prato allo Stelvio). Qui sarebbe opportuno fermarsi per un caffè e un dolce prima di tornare indietro e risalire la SS38 fino a raggiungere nuovamente la vetta. Scendere di nuovo verso Bormio per circa 3 km e svoltare a destra presso la Casa Cantoniera dello Stelvio. Scendere fino alla fine della strada a Santa Maria. Anche in questo caso, consigliamo una sosta per il rifornimento prima di tornare indietro e iniziare la salita finale verso la Casa Cantoniera dello Stelvio, svoltando infine a sinistra e proseguendo fino alla vetta della montagna. Ci aspettano panini e un controllo della salute mentale.

In sella a Canyon Endurace CF SL 8 Disc

(Foto Gavin Kaps/Osprey Imagery)

L’Endurace è stata a lungo la mia bici preferita per le lunghe giornate in sella, e questa è stata una delle più dure. Con un peso di poco superiore agli 8 kg non sembra proprio la quintessenza della bici da scalatore, ma il telaio è rigido ed efficiente e per una uscita così il comfort ha la meglio sul peso. C’è spazio per pneumatici fino a 35 mm e Canyon ha creato un reggisella ancorato molto più in profondità nel telaio e avvolto in uno spessore in silicone, che consente al reggisella di flettersi molto più efficacemente. Ho sostituito le ruote di serie con un set di Hunt 50 Carbon Aero Disc (huntbikewheels. com), che con i loro 50 mm di altezza hanno contribuito a ridurre la resistenza aerodinamica: anche a 12 km/h in salita, la resistenza al vento sottrae watt. Con una moltiplica 52/36 e una cassetta 11-34t, l’Endurace era perfettamente equipaggiata, consentendo una cadenza costante, se non rapida, su tutte le salite, tranne quelle più ripide. Dato l’elevato numero di curve, non sono mai stato così felice di avere i freni a disco, che sono stati messi a dura prova in questo giro.

Come lo abbiamo fatto

(Foto Gavin Kaps/Osprey Imagery)

Travel

Bormio è di fatto il luogo di soggiorno per chi affronta lo Stelvio. Località turistica sia invernale che estiva, offre qualsiasi tipo di supporto ai ciclisti e agli sportivi. Ci si arriva comodamente in auto, Chi desidera servirsi del treno deve sapere che la stazione più vicina è quella di Tirano, dalla quale partono i bus per Bormio sui quali però (!) non è consentito il trasporto di bici. Gli scali aeroportuali italiani più vicini sono quelli di Bergamo e Milano.

Ospitalità

Abbiamo soggiornato all’Hotel Rezia Bormio (reziahotel.it), quattro stelle adatto ai ciclisti, che offre un facile accesso a tutte le salite della zona e dispone di un ottimo ristorante.

Ringraziamenti

Questo viaggio non sarebbe stato possibile senza il supporto di Santini, Polartec, Spring PR e LDL COMeta, che insieme hanno organizzato la logistica e fornito un ottimo kit di abbigliamento in tessuto Polartec. Lo Stelvio era tremendamente freddo e senza una protezione adeguata non c’è dubbio che avrei avuto problemi.

Il servizio completo è pubblicato sul numero 66 di Cyclist magazine

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