L'isola di Eubea, una perla inesplorata per i ciclisti
L'isola di Eubea, in Grecia, offre tutto quello che propone Maiorca. Strade tortuose, panorami incredibili e sole glorioso, ma senza la folla.






Isola di Eubea.
La leggenda narra che il dio greco Poseidone definì casa l'isola di Eubea. Nell'Iliade, Omero descrive il dio del mare che attraversa la terraferma con quattro giganteschi passi, schiacciando il paesaggio sotto i suoi piedi. Guardando il panorama frastagliato dell'isola, posso facilmente immaginarlo scolpito dai titani che calpestano pietre e rocce sotto i loro giganteschi piedi di sabbia.
Ci aspetta una giornata di ciclismo epico, con 4.100 metri di salita su 173 km. Questo include quattro cime che sfiorano i 1.000 metri, con l’attacco che inizia a livello del mare. Non proprio il rotolio lungo le spiagge di sabbia bianca che mi sarei aspettato da una pedalata in Grecia.
Si dà il caso, però, che l'isola di Eubea (chiamata anche Evia) sia un una perla inesplorata per i ciclisti.
La seconda isola più grande della Grecia, a circa un'ora a Nord di Atene, vanta quasi la stessa superficie di Maiorca, ma con una popolazione più ridotta, una temperatura leggermente più calda e cime montuose più alte.
Questo la rende un parco giochi per chi ama pedalare, e quando il team di Greek Cycle Holidays ci ha suggerito l'isola, non siamo riusciti a capire come mai non l'avessimo mai notata prima.
Ora che siamo qui, il sole fa breccia all'orizzonte ed è il momento di iniziare la nostra odissea verso il monte Dirfi e la costa orientale dell'isola.
Pedalando verso un anfiteatro vuoto
Il nostro viaggio inizia a Eretria, sulla costa occidentale. Proprio accanto alla villa in cui alloggiamo si trova un antico teatro, costruito intorno al 300 a.C., che un tempo ospitava orchestre e spettacoli pubblici. Oggi, però, non c'è il pubblico a rallegrarci, mentre ci spingiamo verso il mare nella luce dell'alba ambrata.
Accanto al teatro si trova la casa dei mosaici. Dall'esterno sembra un innocuo edificio bianco, ma ospita un pavimento a mosaico realizzato nel 370 a.C.. Stiamo letteralmente inciampando sulle rovine. Con "noi" intendo Andreas e Nico, una coppia di ciclisti locali del NPO Chalkidas Cycling Club. Sono stati invitati a unirsi a me in questo giro da Steven, il nostro padrone di casa del Greek Cycle Holidays, che ci supporta con il furgone. E che ha avviato la sua attività ciclistica in Eretria qualche anno fa, dopo una carriera come chef professionista a Londra, e che ora conosce queste strade di montagna come le sue tasche.
Andreas e Nico sono stati sinceri sulla pedalata di oggi, descrivendola come “téras”: un mostro. Per molti ciclisti della zona questa strada è un grande obiettivo da portare a termine con la bella stagione.
La parte iniziale ci offre un perfetto riscaldamento lungo le rive del Mar Egeo. Le strade sono ampie e tranquille, mentre ci facciamo strada attraverso una serie di piccole città di mare. Nonostante siano le sette del mattino, i caffè sono pieni di gente del posto, e siamo tentati di fermarci per un caffè per tirarci su. Andreas però insiste nel proseguire ancora, dato che i primi 35 chilometri del percorso sono più o meno pianeggianti, e la città di Triada è il luogo perfetto per una dose di caffeina per affrontare la prima grande salita.
Dalla costa ci facciamo strada lungo tortuose strade di campagna in un'ampia pianura di praterie, boschi e aranceti. Alla nostra destra scorre il fiume di Lilas Potamos, che in autunno è poco più di un filo di bava. Manca ancora qualche settimana alla stagione delle piogge.
Attraverso la foschia mattutina si innalza una cresta di montagne che si erge all'orizzonte, raggiante come le cime di una savana africana. Il monte Dirfi si staglia davanti a noi, gettando un'ombra sinistra sulle pianure sottostanti. Mi sento un po' sollevato quando Nico e Andreas ci indicano di allontanarci da loro per dirigerci verso Triada.
Ci fermiamo in una piazza acciottolata all'ombra di una chiesa ortodossa piuttosto grandiosa, chiamata Chiesa di San Spiridione. Se questa fosse a Maiorca oppure nelle Alpi, mi aspetterei che la città si riempisse di ciclisti che si godono un caffè mattutino come noi. Così com'è, siamo in uno splendido isolamento.
Per evitare il rischio di lasciar raffreddare le gambe ben riscaldate, buttiamo giù velocemente i nostri espressi e partiamo per la scalata di 815 metri che porta alla cima del Dirfi.
Il parco giochi degli dei
Il Dirfi domina il centro di Eubea. La montagna è affettuosamente chiamata "piccolo Fuji" per la sua forma trapezoidale affilata. La cima si chiama Delfi, da non confondere con la più famosa Delfi accanto al Monte Parnaso. Entrambe, tuttavia, si traducono letteralmente come “ombelico”, il centro dell'isola.
Mentre ci avviciniamo alla salita ci fermiamo solo per riempire le bottiglie da una fontana d'acqua zampillante. Il cuore della salita è un tratto di 8,5 km con una pendenza del 9%, e una volta usciti dalla foresta ci si concede un susseguirsi di tornanti con ampie vedute sull'ovest dell'Eubea.
A ogni angolo il panorama migliora, anche se per gran parte del tempo riesco a vedere solo i polpacci di Andreas e Nico, mentre cerco di tenere il loro passo. Per compensare, Andreas mi insegna caritatevolmente la parola greca più preziosa del giorno: argós. Significa lento.
Dopo 50 minuti raggiungiamo la cima, dalla quale possiamo vedere la costa opposta. È avvolta nella nebbia, il che è sconcertante visto il sole perfetto che ci circonda.
Ci prendiamo un momento per andare fino al rifugio di montagna appena fuori dal percorso per godere di uno dei migliori panorami dell'isola.
Sarebbe lo scenario perfetto per un caffè. Ma essendo un luogo così appartato, il rifugio è poco più di un insieme di travi di legno e un tetto. Steven tira fuori un thermos e delle torte salate greche ripiene di spinaci, che mi convinco subito potrebbero essere il cibo del futuro.
La cima della montagna è stata il luogo di nascita della dea Era, così dicono le leggende. Nell'antichità il fianco della montagna era il luogo di un santuario dedicato alla regina degli dei, ed è qui che si sposò con Zeus.
Mi colpisce il fatto che siamo a soli 50 chilometri, ma con così tante salite davanti a noi non possiamo perdere tempo a dare la caccia a qualche intrigante cimelio archeologico, per quanto mi piacerebbe. Affrontiamo la discesa, che inizia in prossimità di un tratto roccioso che mi ricorda il Passo dello Stelvio. La strada è larga e possiamo disegnare la traiettoria migliore a ogni curva, sfiorando velocità di 80 km/h.
Quando torniamo a livello del mare il mio cuore batte all'impazzata, ma siamo tutti raggianti mentre iniziamo il tratto di strada che si snoda lungo un percorso ondulato a fianco delle scogliere.
Le parole chiave
Mentre procediamo, Andreas e Nico mi insegnano qualche altro utile termine ciclistico in greco. Gigora significa veloce, anche se non sono sicuro che oggi ne avrò bisogno. Parakalo è per favore, che potrebbe essere messo a buon uso accompagnando gli argós. Ma la parola più importante, mi assicurano, è malakas, che va gridata agli automobilisti che passano troppo vicini. Il suo significato? Beh, probabilmente potete intuirlo.
La lingua è in realtà un'attrazione speciale sull'isola di Eubea. Il minuscolo villaggio di Antia, nel punto più a Sud dell'isola, è famoso per la sua lingua fischiettante, la sfyria. La vocalizzazione, simile a quella degli uccelli, è utilizzata da queste parti da duemila anni e può articolare conversazioni complesse su lunghe distanze intorno al villaggio. Oggi il villaggio ha solo 37 abitanti, il che la rende una delle lingue più minacciate al mondo.
Ci dirigiamo verso la costa, fino a una piccola insenatura vicino alla spiaggia. Tra le rocce, sotto un baldacchino di arbusti, vediamo una piccola casa sulla spiaggia e fuori un uomo a torso nudo che pesta l'uva. Andreas e Nico lo salutano allegramente e in pochi istanti si mettono a ridere come vecchi amici. Mi aspetto quasi che si riveli essere il sindaco di Eubea, o qualche altra autorità locale. Questo fino a quando non ci offre un liquore che ha prodotto in modo artigianale.
È un liquido chiaro e denso, così forte che anche l'odore mi fa venire le vertigini. Ne prendo un piccolo sorso, solo per fare scena. Non ci fermiamo troppo a lungo perché la tranquillità del nostro amico a torso nudo è interrotta da quella che sembra una telefonata piuttosto infervorata. Finisce rapidamente il contenuto del suo bicchiere, il che mi fa quasi venire la nausea a pensarci, prima di correre verso la macchina urlando al telefono.
Mi scambio degli sguardi con Andreas e Nico per decidere se quest'uomo sia in grado di guidare, ma prima di poter intervenire è stato inghiottito da un un pennacchio di fumo di scarico nero.
Torniamo sulla strada che costeggia il lungomare col sole che stuzzica le nuvole. Rapidamente ci ritroviamo su un'altra salita, e ancora una volta dico intimorito: "argós?", mentre Nico e Andreas chiacchierano felici davanti a me, apparentemente tranquilli nell'affrontare la pendenza.
Bellezza naturale
Pranziamo in una piccola cittadina situata discretamente tra le cime. Dall'altra parte della cresta della montagna, a sud, si trova Steni Dirfis, una delle più belle strada a tornanti della Grecia. Anche se potremmo provarlo oggi, ciò vorrebbe dire o allungare di 50 km un’uscita già lunga oppure accorciarla di altrettanti chilometri. Optare per la seconda ipotesi sarebbe da criminali, visti i paesaggi che ci attendono lungo la costa; ma scegliere la prima scatenerebbe le proteste di muscoli e polmoni.
Al Kivotos cafè di Stropones ci abbuffiamo con un delizioso pranzo a base di pasta e una selezione di carne e olive, il tutto a meno del prezzo di un panino in un caffè di una grande città, prima di rimetterci in viaggio. Pedaliamo direttamente lungo una ripida ascesa al 10% che ci porta a salire per circa 500 metri, prima che la strada faccia il giro su se stessa e ci ritroviamo a scendere verso la costa attraverso una fitta foresta.
Con una lunga serie di curve strette da affrontare, sono nervoso per il timore di automobilisti disattenti che procedono nella direzione opposta. Mi preparo a maledirli come malakas, ma incontriamo a malapena una macchina lungo i 15 km della discesa.
Scendiamo nella città di Koutourla prima di salire su un frammento di montagna costiera che si affaccia sulla spiaggia di Chiliadou. È la spiaggia più famosa dell'Eubea, qui un masso gigante separa la parte per bagnanti in costume da quella per nudisti. A quanto pare è una delle spiagge per nudisti più popolari di tutta la Grecia, e sono sollevato dal fatto che siamo abbastanza in alto da non riuscire a scorgere le parti intime.
Mito e realtà
Ci sono alcune strade in Europa che vanno oltre l’ammirevole progettazione stradale e diventano quasi una rifinitura artistica. La strada di montagna che si affaccia su Chiliadou è una di queste, e certamente vanta un'architettura degna di essere paragonata a Sa Calobra a Maiorca o alla norvegese Atlantic Road.
Seguiamo la strada lungo un costone di roccia calcarea prima che si ripieghi su sé stessa in un tornante che fa quasi l’effetto di una gigantesca piattaforma panoramica per la costa sottostante. L'asfalto offre una pendenza che ci fa andare in fuori sella e alleggerire al massimo il rapporto posteriore.
Non possiamo fare a meno di accostare al guard rail per qualche minuto e scattare un po’ di foto. La nebbia comincia a diradarsi e il sole colpisce una nuvola bassa, facendo diventare il cielo arancione infuocato. Questa è una Grecia che non mi sarei mai aspettato di vedere - lunare, impegnativa e drammatica.
Usciamo dal tornante e proseguiamo fino al punto più alto della salita, a 612 metri. La vetta ha una bella vista che si affaccia sulle montagne costiere, ma dopo una giornata di sovraccarico sensoriale facciamo appena in tempo per un solo scatto con il telefono. Anche la sera ci insegue, quindi ci affrettiamo a tornare nell'entroterra.
Dopo una rapida discesa percorriamo la salita che porta alla città di Manikia. È lunga sei chilometri con punte al 10%, una vera tortura per le gambe a quest'ora tarda della giornata, ma la fatica viene ricompensata. Lungo un tornante che sembra perfetto, incastonato tra le rocce calcaree a strapiombo, mi vengono in mente alcuni dei punti più panoramici delle Alpi e mi chiedo ancora una volta come mai questo splendido angolo non sia frequentato dai ciclisti a caccia di record su Strava e scelto dai vari club per i loro training camp.
Dopo Manikia la salita prosegue per altri 4 chilometri e 200 metri di dislivello. Una sezione al 15% mi mette a dura prova, mi manca il fiato per invocare “argós” a Nico e Andreas. Anche loro fanno fatica, e quando arriviamo in cima c'è poco da festeggiare perché ci sono ancora 2 km da scalare. Le montagne intorno a noi sono color magenta nella luce del tardo pomeriggio, mentre la nebbia si addensa nella valle sottostante.
Finalmente il duro lavoro di giornata è finito, si scende fino a Eretria. La discesa ha tratti veloci, con curve tecniche e strette, ma sono felice di prendermela comoda e quando torniamo in città siamo accolti da un anfiteatro vuoto e dagli ultimi rimasugli di luce del giorno. Scendiamo lungo lo stesso lato che la nave Argo ha costeggiato durante il suo mitico ritorno a casa, anche se nel nostro caso in cerca di una birra piuttosto che di un vello d'oro..
Questo è un mondo lontano dalle spiagge di Mykonos e dalle mete turistiche. Abbiamo affrontato paesaggi selvaggi, pendenze ripide e discese mozzafiato. La Grecia può avere una lunga storia alle spalle, ma per i ciclisti gran parte di essa deve ancora essere scoperta.