di Trevor Ward - 17 October 2022

Salita e discesa dal Col du Sanetsch

Risalire il maestoso Col du Sanetsch in Svizzera richiede una pedalata di 1.700 metri in salita. Tornare indietro una modalità completamente diversa.

Stiamo scendendo da una montagna svizzera senza controllo né sulla nostra velocità né sulla direzione. Mentre sobbalziamo e saltiamo lungo il bordo di una sporgenza rocciosa, il fondovalle si rivela direttamente sotto di noi. Le strade, gli edifici e gli alberi sono disposti come un villaggio da cartolina. Rappresenta la perfetta tranquillità alpina, rovinata solo dal mio stomaco che fa le capriole al pensiero che ci sono solo mille metri di aria fine tra noi e il terreno.

Né io né il mio co-pilota ci siamo ancora seduti. Siamo irrigiditi, in un misto di terrore ed eccitazione, come se il minimo cambiamento nelle nostre posizioni ci potesse far precipitare nell'abisso. Ci scambiamo una rapida occhiata e poi guardiamo le nostre bici. Oscillano leggermente per il vento, ma per il resto rimangono saldamente agganciate all'esterno della funivia in cui stiamo viaggiando.
Discendere dalla cima del Col du Sanetsch in una scatola di metallo e vetro è un'esperienza esaltante, ma questa parte delle Alpi svizzere ha sempre avuto i suoi pericoli. Per i primi turisti, queste altitudini erano piene di rischi mortali - dalle valanghe alle tormente - e quindi meglio apprezzate da valle. Nel 1829, nella sua guida John Murray ammoniva: "L'individuo potrebbe essere inghiottito in un orrido abisso... o un precipizio potrebbe attenderlo, se dovesse sfuggire agli altri pericoli così profusamente dispersi sulle cime della Svizzera”.
La scalata di quelle spaventose vette alla ricerca del rischio non è stata un'attività popolare fino al XIX secolo, momento in cui anche i ciclisti si sono messi alla ricerca di emozioni forti. Nel 1890 l'avventuriera americana Elizabeth Robins Pennell cavalcò - o spinse - la sua bicicletta sulle Alpi svizzere con suo marito e ricordò: "Una mezza dozzina di zigzag indietro c’era J. Si avvicinò a una curva. Mentre la percorreva, si sporse sopra il precipizio. Tolse le mani dal manubrio. Santo cielo, stava cadendo? No, si stava accendendo la pipa”.

Sto pedalando con Adam Sedgwick, che dalla Cumbria si è trasferito nel Canton Vallese in Svizzera per "diventare un vagabondo dello sci" e che ora gestisce la sua società di tour in bicicletta, Haut Velo. Mentre iniziamo il nostro giro in una mattina d'estate senza nuvole, mi dice che la pista ciclabile su cui ci troviamo ha ospitato alcune aspre rivalità. "Ci sono alcuni segmenti Strava fortemente contestati", dice. "Il quartier generale dell'UCI è appena oltre la strada a Aigle, quindi di tanto in tanto ha dei visitatori famosi. Quando non sono in pista o si allenano su strada, non è difficile vederli mischiati fra i ciclisti del posto a macinare segmenti”.

Di sicuro, quando più tardi caricherò la mia uscita, vedrò, tra i guerrieri locali del fine settimana che gareggiano per il KoM su un tratto di strada anonimo di 1,4 km, il nome di Greg Van Avermaet, medaglia d’oro nella prova in linea dei Giochi Olimpici 2016. Si è comportato in maniera cortese con i pedoni e con chi stava portando in giro il cane, ma è comunque entrato nella top 10 con una velocità di 42 km/h. Usciamo dalla pista ciclabile nei dintorni di Sion, attraversando le strade trafficate. Quando lasciamo la città alle nostre spalle, Adam dice: "Eccoci qui. Tutto in salita per i prossimi 25 km”.
Ha un gran sorriso in volto, cosa che trovo leggermente inquietante. Sono destinato a rimanere sulla scia della sua corporatura snella e atletica – è stato un giocatore di rugby piuttosto bravo e anche uno sciatore – per la maggior parte dell’ascesa. Passiamo attraverso vigneti che sono ormai maturi, con i grappoli di uva viola che pendono a pochi passi dalla strada. Questi sono solo il primo dei quattro tipi di terreno lungo cui saliremo, dice Adam. Gli altri saranno pinete, prati alpini e valli di ghiaccio.
Superiamo una curva a gomito e tutta la valle che abbiamo appena attraversato è davanti a noi. Dall'altra parte, spunta dalle cime delle montagne il massiccio innevato del Gran Combin, una catena di vette sui 4.000 metri. Man mano che progrediamo più in alto, scorgeremo sempre più giganti dalla punta bianca.

La nostra destinazione è il Col du Sanetsch, a 2.242 metri sopra il livello del mare. Anche se tecnicamente è un passo di montagna, il percorso finisce in un vicolo cieco poco dopo la vetta. Costruita per servire una diga idroelettrica all'estremità del lago Sanetsch, la strada offre agli escursionisti l'accesso ad alcuni paesaggi spettacolari, tra cui il suggestivo ghiacciaio Sex Rouge. La lontananza di questi luoghi è stata evidenziata da un giornale locale – un orso bruno è stato avvistato non lontano dalla vetta.

Mentre superiamo un'altra fattoria, Adam indica i tronchi ben impilati sul lato della struttura. "È impressionante", dice, come se stesse commentando l'auto sul vialetto. "Da queste parti, quando sei invitato a cena non giudichi i padroni di casa per il vino o la cucina, ma per la pila di legna".

Sguardo verso la vetta

Abbiamo superato i vigneti e ora stiamo salendo attraverso una zona molto boscosa che mi ricorda il Mont Ventoux, per la pendenza e il calore opprimente. E proprio come il Ventoux, con il suo Chalet Reynard, troviamo un accogliente ristoro su un tornante mentre emergiamo dai pini. Dopo alcune bibite e caffè, proseguiamo la scalata attraverso prati alpini di fiori selvatici e mucche nere grandi come capanne.

La pendenza aumenta con una serie di tornanti, prima di rallentare e permetterci di godere di un panorama di gole ombrose striate dai fili argentati delle cascate. Siamo distolti dalle nostre fantasticherie dall'improvvisa apparizione di un camion da rimorchio arancione, accompagnato da operai in tuta da lavoro, intenti a tagliare l’erba e spazzare le grondaie. Anche il paradiso ha bisogno di manutenzione regolare.
La strada continua a srotolarsi sempre più in alto, finché gli operai non sono sostituiti da un'improvvisa macchia marrone sulla pendenza alla nostra destra - sono tre marmotte che si sdraiano al sole su una sporgenza scoscesa. La strada si livella e ora possiamo vederne la traiettoria. Punta dritto verso un buco nero nel fianco della montagna, di cui non si vede l’altra estremità. "È molto lungo", dice Adam, “Ottocento metri”. “Per favore dimmi che è illuminato?”. La sua risposta è tutt'altro che rassicurante: "Più o meno”.

Il tunnel è stato scavato grossolanamente attraverso la montagna, lasciando grezzi i muri di calcare, che hanno degli angoli molto irregolari. I lampioni appesi forniscono ogni pochi metri un'illuminazione acquosa, e c'è una leggera foschia traslucida causata dalla polvere sollevata dalla superficie di ghiaia rotta della strada. Con il rischio che il traffico in senso contrario si intensifichi, mi alzo sui pedali e spingo per finire il più presto possibile.
Anche se la pendenza è relativa, questi 800 metri sembrano non finire mai. Finalmente emergiamo dall'oscurità sotterranea e torniamo sull’asfalto liscio. Sto quasi sperando di essere arrivati in cima, ma posso vedere la strada che ci sta davanti serpeggiare ancora inesorabilmente verso l'alto. Sulla nostra sinistra però c'è un hotel bianco e siamo d'accordo che i restanti tre chilometri fino alla cima saranno molto più facili dopo una sosta per il pranzo.

Formaggio, formaggio o formaggio

Il menu dell'Hotel-Restaurant du Sanetsch è tipico della regione, il che significa che quasi tutto contiene formaggio, solitamente sciolto su pasta, pane, pancetta, patate o funghi. Scelgo il croute aux fromages et jambon, cioè formaggio e prosciutto su pane tostato. La vista dalla terrazza è incredibile. Abbiamo davanti un panorama ininterrotto di cime innevate e ghiacciai, che si estende dall'Obergabelhorn (4.063 m) a est fino al Petit Combin (3.663 m) a ovest. Ma il gioiello della corona, immediatamente riconoscibile per gli appassionati di una certa marca di muesli, è la vetta lontana del Cervino (4.478 m).

Il pranzo è molto piacevole, fino a quando un lampo di panico attraversa gli occhi di Adam. Tira fuori il suo telefono e colpisce la tastiera prima di dire “abbiamo 30 minuti per prendere l'ultima teleferica”.
La distanza è di 10 km, quindi dovremmo farcela. La fretta aggiunge la giusta dose di adrenalina, mentre ci issiamo all'altezza del punto contrassegnato da una fermata per il servizio di corriera locale e una scheda informativa che indica la strada per Sex Rouge. Da lì, si svela un altro panorama alpino mozzafiato - la strada si apre in una serie di archi che invitano verso un luccicante pezzetto di turchese cullato da picchi minacciosi. La discesa fino al Lago Sanetsch è breve ma gloriosa. Ogni curva rivela un nuovo spettacolo, dagli ondeggianti pascoli lacustri agli alti piloni di roccia.
In fondo al lago c'è la diga dove finisce la strada asfaltata. Per arrivare alla funivia dobbiamo continuare su un breve ma ripido segmento di ghiaia. Ce la facciamo con 10 minuti di anticipo. Tutto quello che dobbiamo fare ora è raccogliere il ricevitore del telefono rosso sul muro e ordinare la nostra cabina. La donna dall’altro capo della linea è americana e può vederci attraverso la TV a circuito chiuso. Sembra entusiasta di vedere che siamo ciclisti.
L'ultima funivia della giornata arriva puntualmente, agganciamo le ruote anteriori delle nostre biciclette sul lato esterno della cabina prima di salire all'interno. La capacità è di sei, anche se con scarpe e caschi ci sembra di occupare tutto lo spazio.

La discesa, sinceramente, è terrificante, soprattutto perché la funivia scende vertiginosamente verso valle. Ma è un piccolo prezzo da pagare per l’insolito piacere di poter pedalare verso un picco alto e remoto senza dover fare inversione e dover ripercorrere la stessa strada.
All’arrivo, Margo Cumming, l’americana del nostro incontro a circuito chiuso di poco prima, ci aspetta per salutarci con un grande sorriso: “Grazie a Dio che ci siete voi ciclisti”, dice. “Avete salvato la nostra estate! Oh wow, ma avete bici da strada”. A quanto pare, il famoso sentiero di montagna è stato spazzato via da una frana, riducendo il numero di avventori. I ciclisti hanno rimpiazzato parte dei clienti, ma noi siamo i primi viaggiatori a usare la funivia come parte del nostro circuito.
Prima che Margo ci lasci, ci intrattiene con una breve spiegazione di ciò che sta facendo qui: “Aspettavo di sposarmi e di vivere per sempre felice e contenta, ma fino adesso non ho avuto il mio lieto fine, perciò, anche se ho vissuto in 22 posti diversi in quattro Paesi, ho sempre sognato di venire qui perché mio padre aveva studiato alla scuola alberghiera di Losanna e veniva qui a sciare”.
Siamo quasi 1.000 metri sotto il Col du Sanetch. La nostra salita di 25 km ci ha portati a salire di 1.700 m, quindi se ho calcolato bene abbiamo ancora un lungo tratto di discesa. Così, sono un po’ deluso quando la strada inizia nuovamente a salire. Fortunatamente, la salita al Col du Pillon è lunga solo 7 km, con una pendenza accettabile e la vista della roccia con le sue cascate regolari alla nostra sinistra non è certo meno sbalorditiva. Sulla vetta c’è la stazione della funivia verso il ghiacciaio Sex Rouge, ma sarà per la prossima volta.

Siamo finalmente premiati da una discesa di 24 km nell’Aigle. È su una strada larga e liscia con curve lunghe e ampie, quindi la nostra gioia – e la nostra felicità – sono senza pari. Ci sono un paio di tornanti verso la fine, ma rallentare per affrontarli ci dà il tempo di goderci la sterminata vista della valle e il castello da fiaba di Aigle vecchio di cinquecento anni.

Da Aigle, è un percorso veloce e pianeggiante di 28 km fino a dove siamo partiti, ma prima di andare, insisto per fare una breve deviazione verso i sobborghi della cittadina. Non posso fare questo tragitto in bicicletta senza rendere omaggio all’organo mondiale di governo del nostro sport, dico bene? Forse avranno delle cartoline.
Schiviamo il traffico dell’ora di punta di Aigle e arriviamo a uno sbalorditivo e avveniristico palazzo, proprio mentre dei gruppi di ciclisti in formissima arrivano dalla direzione opposta. Un cartello sulla porta ci informa che il Negozio di Articoli da Regalo della UCI – sì, esiste veramente – ha chiuso tre minuti fa.
Forse è meglio così.

Elizabeth Robins Pennel aveva dato uno sguardo critico a queste banalità durante la sua pedalata attraverso le Alpi 130 anni fa. “Tutti chiedevano le cartoline”, scrisse in modo sprezzante, parlando di un gruppo di turisti. “Girano le spalle allo spettacolo delle Alpi e si lasciavano emozionare dalle immagini che illustravano le cartoline”.

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