La Danimarca: così piatta, così veloce, così attraente
Non ci sono salite degne di questo nome da pedalare ma sull’Isola di Møn il divertimento è assicurato. Con il Tour de France che quest'anno ha visitato per la prima volta la Danimarca, non c’è mai stata una scusa migliore per saltare in sella alla nostra bici e scoprire cosa rende unico questo luogo.














Le piantagioni di colza di Møn in piena fioritura. Foto Mike Massaro
Non dovremmo più farlo, ma se ci fosse permesso, chiunque potrebbe ironizzare sugli accenti con questa agile guida. Prendi space ghettos, ad esempio. Dillo ad alta voce con cadenza americana e improvvisamente sembrerai come uno scozzese mentre descrive il suo gruppo musicale femminile preferito degli anni 90, le Spice Girls. Oppure emma chizit (che sta per how much is it). Non l’ho mai sentita, ma è forse una domanda sudafricana sul prezzo? Oppure a Detroit. Ora, non ha forse un tocco di riconoscimento irlandese?
Ma ecco un’altra curiosità: come si pronuncia Møn? È la prima cosa che gli ho chiesto quando ho incontrato Michael, e lui dovrebbe saperlo. Lavora al GeoCenter Møns Klint, il cui logo adorna la sua maglia insieme a un’immagine delle scogliere di gesso che rendono l’isola di Møn, nelle acque del Mar Baltico meridionale della Danimarca, così importante dal punto di vista geologico. È come “moon”, dice lui, e quando lo dice suona molto simile a quando dice Møn, ma quando lo dico io, suona molto come se stessi dicendo “moon”. Cerco di enfatizzare di più la doppia “o” e nella mia testa suona come il muggito di una mucca di Glasgow.
È una cosa antica e divertente, la lingua. Quella ø in danese...
È una cosa antica e divertente, la lingua. Quella ø in danese, una lettera per la quale non abbiamo una descrizione migliore di “o con tratto” o “o tagliata”, produce una sorta di suono er o ur e contribuisce a dare alla Danimarca un alfabeto di 29 lettere. Non è certo all’altezza dell’alfabeto più lungo al mondo, il Khmer, la forma scritta della lingua nazionale cambogiana, che conta bene 74 lettere, ma è molto più lungo del più corto al mondo, il Rotokas, una lingua indigena della Papua Nuova Guinea, che ha solo 12 lettere.
Questo discorso non ha nulla a che vedere con il ciclismo, ma pedalare contro un muro di vento contrario dà alla mente molto tempo per divagare. Mi chiedo se da qualche altra parte ci sia un danese che sta cercando di pronunciare “Isle of Wight”.
La grande partenza del Tour 2022
Quest’anno la Danimarca ha ospitato le Grand Départ del Tour de France, ed è stato solo il decimo paese a farlo da quando il Tour mise piede fuori dalla Francia per la prima volta nel 1954 (le risposte in una cartolina per quanto riguarda gli altri nove). È un grande affare. Il Tour non viene a trovarvi se non pagate, e si stima che a Bruxelles sia costato 11 milioni di euro per ospitare la precedente partenza internazionale, quella del 2019. Ma il guadagno può essere enorme; un rapporto del 2014 affermava che il Tour aveva generato circa 150 milioni di euro per lo Yorkshire quando era venuto in visita quell’estate, con altri 35 milioni di sterline per Londra, l’Essex e il Cambridgeshire. E questo prima di considerare il valore dell’eredità che lascia.
Per me, tuttavia, è stata un’ottima scusa per visitare finalmente la Danimarca, un paese dal quale sono stato a lungo ossessionato per il motivo, ora apparentemente singolare, di aver idolatrato l’ex portiere del Manchester United Peter Schmeichel quando ero un bambino ossessionato dal calcio. Nel 1992, la Danimarca vinse i Campionati Europei in modo del tutto inaspettato – innanzi tutto perché non avrebbe dovuto esserci – gli fu assegnato un posto all’ultimo minuto quando la Jugoslavia divenne l’ex Jugoslavia – e in secondo luogo perché il suo giocatore di punta era un portiere. Avevo otto anni, e quell’Europeo fu il primo vero evento sportivo in cui ricordo di essermi immerso, e volevo disperatamente mantenere i miei capelli biondi, crescere fino a un metro e novanta e andare in Danimarca.
Fino a lunedì solo una di queste cose era accaduta, ma girando a sinistra dalla nostra pista ciclabile spazzata dal vento e scendendo lungo una strada sterrata, mi rendo conto che ora sono due. Sotto di noi c’è un manto duro di terra giallo-marrone costellato di erba cerosa e pietre lucide. Sono preoccupato per i miei penumatici, un set di tubolari aperti che sono meravigliosamente morbidi, ma anche dannatamente fragili. “Questa è quella che chiamavano pietra del tuono”, dice Michael, indicando il pavimento. “I primi coloni ne facevano utensili e c’erano persone che vivevano qui prima dell’ultima era glaciale. È per questo che lo chiamiamo il luogo di nascita della Danimarca”.
La Danimarca è il decimo paese ad aver ospitato il Tour de France
Non posso né confermare né smentire queste affermazioni, ma mi fido di Michael. È un curioso mix di uomo serio e duro, la serietà deriva dal suo lavoro quotidiano di insegnante a gruppi sulla geologia di questa zona; la durezza deriva dal fatto che prima di partire mi ha mostrato la foto di una radiografia di una gamba. Potevo vedere l’asta metallica e diversi perni che i medici hanno dovuto inserire dopo che lui se l’è spezzata letteralmente in due cadendo durante uno sprint in bicicletta. Hanno estratto l’asta solo poche settimane fa, un pensiero che mi fa letteralmente rabbrividire, immaginando con quanta forza un medico debba tirare per estrarre una punta di metallo lunga 30 centimetri dall’interno di un osso. Oh sì, e Michael ha pure una borraccia con il marchio Ironman e la barba.
In un altro mondo io non mi opporrei a quest’uomo ma qui, trattandosi di biciclette, Michael, come molti danesi che ho incontrato finora, è geniale al punto giusto. Non scherzo, persino la donna che ha controllato il mio passaporto a Copenaghen mi ha rivolto un sorriso sincero. A quanto pare, allegri funzionari dell’immigrazione non sono un ossimoro. Mentre pedaliamo imparo qualcosa in più sulla pietra del tuono, che è molto più interessante della semplice selce che è in realtà. Un tempo era apprezzata per le sue capacità di costruzione di utensili, una delle ragioni per cui la gente di qui prosperava (salvo forse quando l’ultima era glaciale ricoprì Møn con un gigantesco ghiacciaio).
Era il periodo neolitico, quindi nel Medioevo nei campi capitava di dissotterrare oggetti come vecchie teste d’ascia. Ma come si pensava fossero arrivate fin lì? Erano state lasciate cadere dagli dèi e proprio esse erano la causa dei temporali: le pietre del tuono scagliate verso la terra erano il fulmine, mentre quando si schiantavano al suolo causavano appunto il tuono. Una volta raccolte, le pietre del tuono diventavano talismani: venivano poste accanto ai bambini per allontanare gli spiriti maligni o accanto alle mucche le cui mammelle si erano infiammate a causa della mungitura da parte delle streghe (parole dei danesi medievali, non mie).
In breve, le pietre del tuono sono fortunate, per questo non mi sorprende che i miei pneumatici siano rimasti intatti.
Si sale a... 128 metri!
Nyord è collegata a Møn da un ponte di poco più di cento metri, ma si sente come se fosse separata da cento anni. Attraversiamo una zona paludosa, con giunchi che spuntano in ciuffi che da scuri diventano dorati in punta, svoltiamo di nuovo sulla ghiaia e infine rientriamo in un piccolo villaggio. Mi viene descritta come una città, anche se non vedo nessuna cattedrale o sigillo reale e il posto è solo un gruppo di case e un porto con frangiflutti in pietra.
Alcune barche sfiorano la banchina, una di queste è una ex nave postale che serviva queste isole e che ora è una nave da turismo. Un’imbarcazione di clinker entra in porto, un signore anziano sbarca e mostra il contenuto di una scatola di plastica al suo amico, sulla banchina. È riempita per un terzo di gamberetti. Michael non ha bisogno di tradurre che il tizio non è affatto impressionato. Un tempo questo era un territorio privilegiato per la pesca delle anguille, ma la deviazione dei corsi d’acqua in Russia ha impedito alle anguille di recarsi qui per riprodursi e le popolazioni sono in diminuzione.
Mi viene in mente la storia che ho letto di recente sulla chiusura dell’ultima banca delle Isole Scilly da parte di Lloyds, che ha costretto gli abitanti a un viaggio di cinque ore fino a Penzance per incassare un assegno. C’è una grande tristezza in un luogo come questo e nel suo ruolo ridotto nel mondo moderno, ma anche un’incredibile dignità. Torniamo indietro passando per quella che sono sicuro essere la prima e unica chiesa con pareti ottagonali che vedrò mai, soprattutto perché questa ha un modellino di galeone appeso al soffitto, segno sicuro delle speranze della vita unite a un culto della natura quasi paganeggiante. Senza dubbio qui si è pregato per molte anime riprese o perdute.
La nostra prossima meta è il favoloso Møns Klint
Alziamo i tacchi e torniamo a Møn. La nostra prossima meta è il favoloso Møns Klint, la cui seconda parola significa scogliera, che qui sono venerate per il loro bianco gesso e la loro altezza. Con i suoi 128 metri sul livello del mare, questo è uno dei punti più alti della Danimarca (la vetta più alta è il Møllehøj, di soli 171 metri) ed è la sede del lavoro quotidiano di Michael: il GeoCenter, una sorta di museo vivente di storia naturale. È in parte una mostra, in parte un parco nazionale, e cerca di educate bambini che indossano tutti lo stesso zainetto coordinato sull’essenza della natura. “Dico loro che ci vogliono mille anni per creare uno strato di gesso di un centimetro” spiega Michael. Quindi sono 128.000 anni solo per formare un decimo della scogliera che si vede”. Il gesso ha più di 65 milioni di anni e quando lo si dice a dei bambini poi loro pensano in modo diverso quando scrivono su una lavagna”.
Apprendo che il gesso è anche un componente di base della selce. Da qui la pietra del tuono. Michael mi dice anche che proprio qui la regina di Danimarca ha inaugurato una passerella di legno che arriva fino a un punto panoramico, solo che lei era piuttosto inferma e il suo staff l’ha fatta scendere in bicicletta sul davanti di una cargo bike. Avrebbe potuto essere un ottimo spunto anche per i festeggiamenti del Giubileo della regina Elisabetta.
Arriva l'ora del traghetto
Uscendo dal GeoCenter ci attende una veloce discesa su sterrato attraverso foreste di grandi faggi, le cui foglie dai colori sgargianti sono peculiari di questa zona (sto davvero ascoltando le spiegazioni) in quanto rimangono di un verde brillante perché il terreno qui non contiene abbastanza magnesio e ferro per generare i livelli di clorofilla che fanno diventare le foglie di una pianta verde scuro.
In contrasto con il grigio cenere della ghiaia, la vista è iperrealistica sia per il contrasto che per l’intensità. Ci affrettiamo per fare la nostra prossima traversata dell’isola, con un traghetto che è uno degli ultimi in legno della Danimarca. Attraversiamo colline in cui i veicoli scompaiono dentro e fuori dalle loro pieghe come pupazzi a molla che spuntano e si nascondono lentamente nella loro scatola. Michael descrive la scena come una piccola Toscana e io sono d’accordo.
C’è una patina di pittura impressionista in tutto questo
Le colline rotolano sì, ma soprattutto c’è una patina di pittura impressionista in tutto questo: la vita vista attraverso una lente di vaselina, come nei vecchi film di Hollywood. Presto attraversiamo una diga che funge anche da ponte, che collega Møn all’isola di Bogø. Michael mi racconta la storia di un abitante di Bogø che, detestando l’idea di essere unito a Møn, tentò di far saltare la diga con la dinamite. Fortunatamente lui non riuscì a fermare il progresso e noi possiamo presto arrivare sul margine meridionale di Bogø per prendere il traghetto.
Il porto dei traghetti è leggermente più grande di Nyord nel catalogo dei porti insulari danesi, e noi siamo in numero doppio rispetto alle auto. Il capitano è un uomo burbero la cui carnagione dice che forse ama stare all’aperto, o bere, o entrambe le cose, ma il traghetto segue la rotta giusta, come fa dal 1959, e poco più di dieci minuti dopo scendiamo sulla banchina dell’isola di Falster. Se vi state chiedendo per cosa è famosa l’isola di Falster, dipende se siete appassionati di moto e radio d’epoca o di rettili e anfibi.
Vicino al porto si trovano il Museo danese della motocicletta e il Museo della radio, quest’ultimo vanta un “esemplare del primo altoparlante al mondo, il Magnavox”. Più all’interno dell’isola si trova lo Zoo di Krokodille, gestito dal vero e proprio Steve Irwin danese, un uomo di nome René Edegaard, famoso per aver allevato animali difficili da allevare e per essere stato quasi mangiato da uno di essi.
Precisione danese
La nostra spinta finale verso casa porta una energia tutta sua – un delizioso vento di coda che ci lambisce la schiena e conduce l’aria perfettamente fuori dalla nostra traiettoria come una tenda invisibile. Presto ci troviamo ad attraversare il tipo di campagna che non stonerebbe nel Regno Unito, una litania di poligoni sezionati da alberi e siepi, alcune macchie verdi, altre marroni e molte gialle, con la colza in piena fioritura.
Un altro ponte si intravede e passa sotto le nostre ruote, la pista ciclabile segregata dalle poco auto presenti; alla nostra destra i binari del treno. È un ponte traballante e arrugginito e alla nostra sinistra ne stanno costruendo uno nuovo molto simile, ma data la distanza che deve coprire non è chiaro se ce la farà prima che la ruggine di questo più antico lo distrugga completamente.
Se c’è qualcosa che i danesi sanno fare, è attenersi a un programma
Tuttavia, se c’è qualcosa che i danesi sanno fare, è attenersi a un programma. Con precisione militare – 17 in punto, proprio come aveva previsto Michael – entriamo nella città di Vordingborg, i cui confini sono fiancheggiati da rovine di castelli e al cui centro si trova una torre rotonda in mattoni rossi sormontata da un’oca d’oro massiccio. Questa era una delle nove simili torri che una volta componevano il castello, spiega Michael, e l’oca è in qualche modo rimasta in cima, nonostante i numerosi tentativi di rapirla a partire dal 1360.
Ma perché un’oca? Sembra che sia stata eretta per scherzo dal re Valdemar Atterdag, che disse della Lega Anseatica Tedesca, con cui era in guerra, che aveva “più paura delle oche starnazzanti”. A quei tempi sapevano davvero come prendere in giro la gente.
Risaliamo in sella, e depenniamo anche l’ultima tappa del nostro giro. Un altro ponte da percorrere e siamo di nuovo a Møn.
Il percorso di Cyclist
Puoi scaricare l'itinerario di Cyclist qui. O scansiona il QR code cliccando sull'immagine. Certamente il file gpx sarà di grande aiuto vista l’enorme quantità di strade di Møn e delle isole circostanti. Tuttavia, anche la navigazione in base alle città è utile. Così, partendo da Stege, dirigetevi a nord verso l’isola di Nyord, prendendo un tratto di sterrato dopo una svolta a sinistra ai 5km. Attraversate il ponte per Nyord, poi intorno agli 11 km lasciate la strada per un’altra pista erbosa fino alla città di Nyord. Girate al porto e tornate a est attraverso il ponte per raggiungere la costa e il GeoCenter Møns Kilint al 43esimo km. Da qui dirigetevi a sud e poi a ovest attraverso Bissinge e Store Damme, con un altro tratto sterrato che arriva al cinquantaseiesimo km dopo una curva a sinistra. Seguite lo sterrato con la baia alla vostra sinistra, riprendete la strada e poi attraversate il ponte a Bogø, diretti ai traghetti a Stubbekøbing ai 92 km. Continuate verso est, passate attraverso Nørre Alslev e poi a nord fino Orehoved. Prendete il ponte per Vordingborg (123 km), fermatevi naturalmente a dare un’occhiata all’oca d’oro poi dirigetevi verso est atraverso Stensby, seguendo le indicazioni per Møn. Attraversate il ponte ad arco e siete più o meno arrivati.
INFO UTILI
- Residens Møen hotel (residensmoen.dk)
- Visit Denmark (visitdenmark.com)
- Destination Sydkyst Danmark (sydkystdanmark.dk)
- GeoCenter Møns Klint (moensklint.dk)
Potrebbe interessarti anche:

Cyclist magazine 65: pronto a salire in sella?
Il servizio completo è pubblicato sul numero 65 di Cyclist magazine